Che storia!
SEGRETI STORICI
Napoleone e il «mal di sella» che lo appiedò a Waterloo.
Il dolore gli impedì di cavalcare e l'imperatore non vide la battaglia (che finì in disfatta)
Il Napoleone di Austerlitz, che a cavallo dall’alto del Pratzen guardava l’attacco degli austro-russi e ne programmava la disfatta, è un ricordo lontano. Quello di Waterloo non «vede» la battaglia, nè fisicamente nè con gli occhi della mente: per tutta la giornata, la sua conduzione tattica appare lenta e non sempre all’altezza della sua fama, la sua presa sulla situazione sembra tutt’altro che salda. Il genio strategico è sempre quello di un tempo e lo dimostra il piano che lo ha portato a Waterloo: prima tenere a bada gli inglesi e battere i prussiani (e ci è quasi riuscito a Ligny, due giorni prima), poi rivolgere tutto il peso dell’esercito contro Wellington e sbaragliarlo. Ma sul campo sta perdendo colpi. Non sarebbe un dramma, se i suoi ufficiali fossero quelli dei trionfi. Ma il capo di Stato maggiore non è più Berthier, l’uomo che aveva il compito di trasformare le parole del genio in piani operativi: è morto il primo giugno cadendo dalla finestra di casa sua, forse incidente, forse suicidio, forse ucciso dai fedeli dei Borboni per impedirgli di riunirsi all’imperatore. Ora al suo posto c’è il maresciallo Soult, che del predecessore non ha nè la competenza nè il carisma. E a comandare i soldati sul campo ci sono il maresciallo Ney, il «coraggioso tra i coraggiosi» ma non un’aquila, e Grouchy, che sta inseguendo i prussiani. O meglio, che crede di inseguirli mentre in realtà il grosso delle loro forze ha fatto un giro e sta tornando verso Waterloo, verso l’ala destra francese.
Così quando, verso le 15,30, Ney decide di impiegare contro gli inglesi, che hanno già respinto tutti gli attacchi della fanteria francese, i cinquemila corazzieri della sua cavalleria pesante, l’imperatore piegato dalle emorroidi è lontano nelle retrovie, non lo sa, forse non se ne rende conto e non lo ferma. Perché la mossa di Ney è un’idiozia: la fanteria attaccata dalla cavalleria si chiudeva in quadrato, formazione che, irta di baionette, era praticamente impenetrabile. I quadrati erano invece molto vulnerabili all’artiglieria. Per riuscire a sfondarli, quindi, bisognava minacciarli con l’artiglieria inmodo che la fanteria fosse costretta ad aprirsi e a rischierarsi in linea: a quel punto la si poteva attaccare con la cavalleria. La mossa di Ney aveva una sola giustificazione: costringere gli artiglieri inglesi ad abbandonare i loro pezzi e a rifugiarsi dentro i quadrati, in modo da conquistare i cannoni, privare i fanti inglesi del loro appoggio di fuoco e portare avanti la propria artiglieria. E Ney, sia pure a costo di gravi perdite, ci riesce.
Ma a questo punto entrano in ballo i chiodi, o meglio la loro mancanza. I cannoni napoleonici erano aggeggi pesanti e robusti, con congegni di puntamento primitivi, difficilissimi da danneggiare. Ma un sistema per metterli fuori uso c’era: si piantava a martellate un chiodo senza capocchia nel focone, il foro che permetteva di dare fuoco alla carica di lancio. Però i corazzieri di Ney non hanno i chiodi: forse nessuno ha pensato a portarli, forse le bisacce che li contengono sono appese alle selle dei cavalli morti che giacciono ovunque. Così non appena la cavalleria si allontana, gli artiglieri inglesi escono dai quadrati e riprendono a sparare. I corazzieri attaccano e riattaccano ma senza concludere niente, se non dissanguarsi e privare l’imperatore di tutte le riserve di cavalleria pesante. Intanto i prussiani stanno arrivando. Gli inglesi contrattaccano. È finita.
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