Speciale
[on the air: sant'allegria - nellina]
"Vorrei anch’io pregare così, con queste parole del Vangelo e dire: «Ti benedico e ti ringrazio o Padre del cielo e della terra perché ci hai dato Ornella Vanoni».
Se pensiamo infatti a quello che rappresentano le canzoni per la nostra esistenza, non musica soltanto ma, come lei ha detto, «parole sulle note», scopriamo che in quelle parole sulle note ci siamo tutti. L’universale diventa singolare e viceversa. Le canzoni diventano veri e propri ritornelli della vita, «momenti di essere» – per dirla con Virginia Woolf – o viceversa irruzioni insopportabili, inudibili, non più ascoltabili perché legati a momenti a volte cruciali e troppo densi della nostra vita. Le canzoni sono come dei lumini, quelli che mettiamo nei nostri altari, che sono lì a muovere la loro fiammella, continuando a rappresentarci anche quando noi non ci siamo. Se pensiamo a questo ci rendiamo conto di quanto la vita artistica di Ornella sia dentro la nostra esistenza da non riuscire neanche più a scinderla dalla nostra storia personale e, in senso più generale, dalla storia culturale italiana. Quasi un secolo di vita passata dentro il teatro, la televisione, il cinema e la canzone. Ed in tutti i casi – come ha osservato Gino Castaldo – è sempre stata la musica ad impossessarsi di lei. Sappiamo bene che i posseduti sono come dei tarantolati, non possono opporsi al «morso» della musica. Ornella è stata posseduta dall’inizio della sua vita alla fine.
Ma questa fine che viviamo oggi in realtà è un nuovo inizio. Fintantoché non si muore non si riesce a vedere l’inizio e la fine insieme. Ce l’ha detto il libro dell’Apocalisse che abbiamo ascoltato: il principio e al fine, l’alfa e l’omega. Allora potremmo dire che questa notte che verrà sia La prima notte di quiete. Per Goethe questa prima notte è la notte della morte, quella che non ha sogni, ma neppure incubi. Una notte di sollievo, finalmente. C’è un film di Zurlini che ha questo titolo: una pellicola nella quale possiamo ascoltare Ornella che canta Domani è un altro giorno mentre le coppie si stringono forte e si baciano sulla pista da ballo.
Se partiamo da questa immagine di Zurlini, cioè la pista da ballo con la musica di Ornella, potremmo forse anche noi vederci tutti abbracciati, alla ricerca del suo abbraccio. È così che sentiamo lei e sentiamo anche noi. E quello che c’è in questo abbraccio è la fragilità. Da una parte sta la fragilità e dall’altra lo stare «in equilibrio sopra un’emozione». L’espressione che proviene da Un sorriso dentro il pianto è decisamente cristiana. Che cosa c’è di più fragile, di più vulnerabile dell’umanità del Cristo, della sua croce. Sta anch’Egli in equilibrio su un emozione, che è di amore certo ma anche di morte, dolore.
Il primo tratto prezioso della spiritualità di Ornella è proprio la sua fragilità, mediata dallo strumento della sua voce, di una affabulazione malinconica: Ornella ha detto più volte di essere andata in pezzi nella sua esistenza (“ho sbagliato tante volte ormai che lo so già”), e in Domani è un altro giorno ricorda che i bilanci non quadrano mai. Il fatto è che laddove c’è la fragilità, c’è anche la sincerità. È questo il guaio! E i veri artisti sono tutti in equilibrio su una emozione. Ma la fragilità è certamente la garanzia di ogni vera creazione. Senza una fragilità, senza un dolore, senza un fallimento, non ci può essere arte. Ci sono i ragionieri dell’arte certo (senza offesa per i ragionieri ovviamente), ma senza creazione e senza sincerità. Credo che si possa dire che anche la depressione – di cui ha coraggiosamente parlato Ornella – sia stato un luogo dello spirito, un fallimento, un andare in pezzi che produce una creatività tipica dello spirito contemporaneo. C’è tanta sincerità, tanta creatività che aspetta di essere raccolta dalla depressione contemporanea.
In questo quadro di fragilità allora le canzoni diventano quel «giogo leggero» di cui parla il Vangelo, un tentativo di ricostruzione, dopo che tutto è andato in pezzi. E allora, come ha cantato Ornella, le parole sulle note diventano realmente la migliore compagnia. È qui che entra in gioco il pragmatismo e l’ironia, in una parola la libertà di Ornella, che sono infondo l’altra faccia della sua fragilità. È qui che abbiamo avuto modo di raccogliere ed apprezzare il suo stile leggero, diretto, direttissimo che ha bucato tutti gli schermi, facendocela sentire una di noi.
Leggerezza non vuol dire vuoto, anzi i suoi testi sono molto pieni, pieni di esistenza, facendoci entrare anche noi nelle storie da lei raccontate. È qui che la sentiamo cantare: «La mia fede è troppo scossa ormai, ma penso e prego tra di me: proviamo anche con Dio, non si sa mai». Dio è una delle possibilità, perché non tentarla? Così come possiamo tentare di vincere la stupidità con l’allegria, la «sant’Allegria» a cui Ornella chiede un ascolto serale. Una preghiera, due preghiere, un’altra frase, mezza frase aspetterò sperando che sia vera.
La frase, la mezza frase vera che aspettiamo non è quella del rimpianto, non è neppure quella del ricordo… Canta Ornella: rimpianti adesso non ne ho più…E non c’è niente di più triste in giornate come queste che ricordare la felicità… Sapendo già che è inutile ripetere chissà domani è un altro giorno e si vedrà
I ricordi sono frammentari, velleitari, il rimorso poi è parente del bilancio e si ferma alla fragilità della vita. La memoria invece è un esercizio quotidiano, una qualità del nostro cervello che rischiamo di perdere, perdendo anche la voce, il timbro della voce, quella voce inconfondibile e penetrante che aveva Ornella. È per questo che oggi facciamo memoria, cioè eucaristia: «Fate questo in memoria di me»: che significa: solo cantando Ornella, facendo questo come memoria potremo «provare anche con Dio. In fondo…non si sa mai…»."
Immenso Garbino
Anni 90
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