Storia di un abbraccio e di una fine

E' da diverso tempo in cui ho drasticamente ridotto le mie apparizioni sui social; un pò perchè ne sono annoiata, un pò perchè il popolo che li nutre e soprattutto le dinamiche che vi si sono create mi spaventano e preoccupano, un pò perchè per il ruolo istituzionale che ricopro preferisco il low profile fuggendo come un male brutto qualsiasi polemica o rottura di scatole ulteriore a quelle che già popolano quotidianamente le mie giornate.

Alcuni profili, alcuni personaggi, alcuni link sono obiettivamente carini ma c'è un generale appiattimento che mi mette un pò tristezza.

Ci cazzeggio però spesso dato che, non so per quale diavoleria psicologica inventata dal dott. ing. lup mannar gran farabut Zuckerberg smanettarvi mi rilassa la mente, mi distrae, alcune volte addirittura esagerando mi diverte.

Così capita di inciampare in un link che riguardi una delle mie ex compagne di squadra cui tengo più in assoluto - una persona Bella con la B cubitale  - che inizio a leggiucchiare poichè - mi dico - se riguarda lei sarà sicuramente qualcosa di carino.

Scopro che non si parla solo di lei, ma di ME e lei quando eravamo compagne di squadra a Cantello.

Resto così', tra lo stranito e lo stupefatto, anche un pò timorosa visto che quando trattasi di basket mi aspetto i peggio insulti, leggo e... Grazie a F. che ha descritto un episodio che ci riguardava in maniera incredibile, rivivo nitidamente tutte quelle emozioni ritrovandomi catapultata ancora in mezzo al campo della palestra di Cuveglio, quella con gli spalti in alto tipo balconi.

Lo condivido, perchè mi allarga moltissimo il cuore scoprire che ho vissuto situazioni, momenti e gesti, che mai avrei creduto potessero aver lasciato un segno così bello ed indelebile nel cuore delle persone con le quali ho condiviso un tratto del cammino umano e sportivo.

Era il 1994, avevo 20 anni tondi tondi, ricordo che quell'anno di ritorno dall'esperienza di Gavirate e prima della chiamata in serie A a Varese, ero veramente devastante. Viaggiavo ad una media di molto superiore ai 20 punti a partita e spaccavo indistintamente il culo ai passeri, come si dice in gergo tecnico.

Grazie anche a F. perchè, nell'ambito cestistico, è uno dei pochi a sottolineare il mio "gran carattere" in maniera positiva. Non ci potevo quasi credere!

Beh, ecco il suo post che mi ha gentilmente permesso di condividere.

Che belle cose.

In questi giorni in cui mi sento fuori posto, fuori luogo, incapace a livello umano, criticata e giudicata dall'universo intero galassie comprese, questo scritto è stato un raggio di luce caldo e luminosissimo.

Grazie ancora F.!
Il link originale lo trovate qua.

Storia di un abbraccio e di una fine

Ci sono momenti che solo lo sport ti può dare. Fermi immagine che ti restano nella mente per sempre. Uno di questi mi fa ritornare indietro di oltre vent’anni. Stagione 1994/95 il mio ultimo anno da dirigente sulla panchina di una squadra di basket. Dopo la grande avventura di Gavirate, che ho raccontato qui su IGP qualche tempo fa, finita nel ’93 e una stagione di stop ho ripreso a Cuveglio, un piccolo paese della Valcuvia che da Gavirate dista pochi chilometri, a un livello più basso, Serie C e con ambizioni minori, la salvezza.

Era il 19 novembre 1994, terza giornata di andata, nella piccola palestra di Cuveglio, casa della Valcuvia Basket, è ospite il Cantello, squadra con ambizioni più importanti che rappresenta un paese non molto lontano, sul confine svizzero, famoso per i suoi asparagi. Nel Cantello militano due giocatrici che ben conosco, tra le protagoniste della grande corsa del Gavirate un paio d’anni prima. Federica, centro di quasi un metro e novanta, all’epoca serissima studentessa universitaria e al contempo ragazza solare, sempre allegra, che aveva giocato come cambio delle lunghe quei campionati a Gavirate e Chiara Catella, qualche anno più giovane, non molti, play-guardia grintoso con un gran carattere, ai tempi anima della formazione juniores gaviratese, che si allenava spesso con la prima squadra. Ricordo che la riaccompagnavo spesso a casa dopo gli allenamenti, e le lunghe chiacchierate che facevamo in auto. Sono nel parcheggio della palestra per qualche motivo, un’oretta circa prima dell’inizio ed entra una Y10. Parcheggia. Scende Federica.

Non la vedo dai tempi di Gavirate e non sono sicurissimo su che ricordo abbia di me. Io non ho lasciato bene quella cittadina, ma me ne sono andato in furiosa lite con l’allenatore e discussioni con gli altri dirigenti a fine dicembre ’92. Lei mi vede, viene verso di me, mi abbraccia, tante partite, tante vittorie, sconfitte, infortuni, momenti difficili e momenti felici abbiamo condiviso in quel gruppo vincente cui mancò però un tiro al supplementare per essere trionfante. Entriamo in palestra e ognuno se ne va dal suo lato per preparare la partita. Il Basket Cantello era molto superiore alla Valcuvia quell’anno, dominò l’incontro e il secondo tempo fu accademia, finì 48-76, non certo una partita da ricordare per il pathos agonistico.

Al suono della sirena finale però successe una cosa che non ho mai dimenticato. I quintetti in campo tornarono verso le panchine, le ragazze di casa un po’ abbattute, le ospiti dandosi cinque. Io mi alzai guardai il nostro allenatore, l’amico Marco, con uno scambio di espressioni che volevano dire: “con queste non si poteva fare di più” e feci un paio di passi verso la panchina del Cantello per salutare Chiara e Federica, che avevano avuto la stessa idea.E ci fu un grande lungo abbraccio spontaneo a tre a metà strada, sulla linea di metà campo, tra il dirigente di una squadra e due giocatrici dell’altra, che probabilmente lasciò un po’ straniti tanti che lo notarono in tribuna. Ci univano troppi ricordi e troppe emozioni per aspettare. Fu uno dei momenti più belli che mi hanno regalato finora i miei tanti anni dentro lo sport.

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