Via Biancano 33 (e persiane verdi)

[on the air: the miracle - queen]

Di quell'orribile esperienza, che temo mi abbia segnata più di quanto creda, che è stata la colonia nelle mie estati dai 6 ai 12 anni ho qualche rarissimo ricordo positivo. Piccola precisazione: la colonia al mare ti insegna a fare il bagno come fossi un tonno in piena mattanza ma peggio, milioni di volte peggio, è la colonia in montagna.

La mia prima volta fu a sei anni compiuti da un paio di giorni, quindi a.s. 1980 in cui credetti alle parole di mia mamma che mi raccontava di questo posto bellissimo (...) in cui avrei conosciuto tanti bambini (...) e che mi sarei divertita come una pazza. Aveva solamente sorvolato sul fatto che la durata di questo simpaticissimo giochetto fossero ventuno interminabili giorni - che a me sembravano ventuno anni - e che i genitori familiari ecc. si potevano vedere una volta sola a metà calvario e qualche telefonata ogni tanto giusto per avere rassicurazioni circa l'esistenza in vita del familiare. 

La prima destinazione fu Santa Brigida in provincia di Bergamo, una specie di caserma buia, grigia, triste nella quale presi i pidocchi appena sbarcata (che mi toglievano strappando i capelli incriminati uno ad uno con la pinzetta per i baffi per poi bruciarmeli in una vaschetta piena di alcool davanti agli occhi) e dalla quale, tragedia delle tragedie, si vedeva poco distante una casa simile alla mia con le persiane verdi. Quelle che ho ancora adesso, per intenderci. Io ho un nitidissimo ricordo di me - una cosina di appena sei anni compiuti e nemmeno un giorno di scuola alle spalle - aggrappata alla rete della prigione legalizzata a consumarmi di pianto guardando la casa con le persiane verdi, lontana da tutto e da tutti e piena di pidocchi. Cioè, per intenderci, la colonia e la casa esistono ancora anche se mi sembravano lontanissime: si vede che chi ha le persiane verdi è restio a cambiarle nei secoli.



Il momento più duro era il tramonto: quando ero piccola l'imbrunire era il momento della giornata che preferivo in assoluto; per la luce, perchè la mia famiglia perennemente indaffarata in quel momento si ritrovava, il profumo di minestrone dell'orto cucinato nelle pentole da campo, la luce del sole caldo dell'estate che entrava per ultimo dalla finestra della cucina, mia mamma che preparava la cena e le persiane verdi. Aggrappata a quella rete ogni sera per ventuno giorni vivevo un senso di nostalgia dalla mia vita di quello che ti prende lo stomaco e piangevo, le lacrime mie e quelle che nemmeno sapevo di avere.

Mi chiedo, tra l'altro, come abbia potuto subito riconoscere la strada, l'edificio e l'intorno di un posto che vidi l'ultima volta 45 anni fa. Vabbè.

In mezzo a questo delirio emotivo una luce c'era ed era la mia signorina Luisa F.: a parte essere spudoratamente diventata la sua cocca tempo zero, ho chiari in mente i tentativi quotidiani di consolarmi e quanto fosse gentile nel prendersi cura di me per qualunque cosa. Ci scambiammo gli indirizzi e non appena imparai a scrivere iniziammo una amicizia di lettera che durò fino alle medie. Mi sono sempre chiesta come potesse essersi affezionata così tanto ad una bimba che faceva di tutto per far capire che lì non ci voleva stare e che passava la maggior parte del tempo a piagnucolare, a farsi strappare i capelli con i pidocchi ed a cercare di entrare in contatto con bambini mai visti prima che parlavano con un accento strano con il quale mi contagiarono alla stregua dei pidocchi. In quel preciso momento della mia vita, mi venne inculcato il principio della donna Denim ovvero quella che non deve chiedere mai, che non deve farsi vedere dalla mamma disperata ma anzi rassicurare che andasse tutto bene così da nascondere la debolezza e la fragilità per non far preoccupare nessuno. Con Luisa ci perdemmo con gli anni ma le sue lettere le ho tutte conservate. Soprattutto la prima in cui mi chiedeva di risponderle quando avrei imparato a scrivere. Che tenerezza.

Con l'avvento dei social ho provato più volte a cercarla senza risultato e mi sarebbe piaciuto tantissimo conoscere il racconto della sua vita, dopo quei ventuno giorni condivisi nelle valle bergamasche a consolarmi ed a cercare di strapparmi un sorriso.

Mi sono sempre ricordata l'indirizzo al quale inviavo le lettere scritte prima in brutta e poi copiate in bella ed ho cercato su maps la casa: la foto mi ha trasmesso un pò di amarezza, disabitata da tanto tempo, abbandonata, ma non avrei potuto immaginare un posto più bello al quale indirizzare le mie lettere ed i miei pensieri. La Romagna quella autentica, ruspante, vera, dei campi. Forse ci siamo proprio trovate per queste radici simili. Ovunque tu sia, cara Luisa, grazie per esserti presa cura di quella bimba spaesata e piena di pidocchi sempre piagnucolante che iniziava a capire che stare lontana dalla sua mamma fosse un dolore che non sapeva come affrontare. E grazie per avere cercato di lenirlo un pò. 

  

Via Biancano 33

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